Inizio dell'Anno Catechistico 2017 - 2018
Domenica 8 ottobre - a Basalghelle ore 9.30 - a Mansuè ore 11
Domenica 8 ottobre inizia ufficialmente nelle nostre parrocchie l'anno catechistico, anche se in realtà gli incontri di catechismo sono già iniziati il 2 ottobre.
Per aiutare la nostra riflessione riportiamo il discorso che Papa Francesco ha tenuto al Congresso Internazionale sulla Catechesi nel 2013.
Papa Francesco ha incontrato i partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi organizzato nell'Aula Paolo VI, in Vaticano, nell’ambito dell’Anno delle Fede. Il Santo Padre nel suo discorso ha sottolineato che “la catechesi è un pilastro per l’educazione della fede”. “Ci vogliono buoni catechisti!” ha esclamato, ringraziando i presenti per questo servizio “alla Chiesa e nella Chiesa”. “Anche se a volte può essere difficile – ha proseguito - si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! Ma è forse la migliore eredità che noi possiamo dare: la fede! Educare nella fede” perché cresca. “Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! ‘Essere’ catechisti! Non lavorare da catechisti, eh! – ha osservato - Questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare… Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo! Non sarai feconda! Catechista è una vocazione: ‘essere catechista’, quella è la vocazione; non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto ‘fare’ i catechisti, ma ‘esserlo’, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza”.
Il Papa invita a ricordare quello che Benedetto XVI ha detto: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione”. “E quello che attrae – ha precisato Papa Francesco - è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile. Non è facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza”.
Quindi ha ricordato quello che San Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole”. Ma prima viene la testimonianza: “che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo. Ed ‘essere’ catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non si compra nei negozi; non si compra qui a Roma, neppure. Questo amore viene da Cristo! E’ un regalo di Cristo! E’ un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da questo amore che lui ci dà. Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista? Cosa significa?”. Il Papa risponde con tre cose: “uno, due e tre, come facevano i vecchi gesuiti… uno, due e tre! Prima di tutto ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui. Ma avere questa familiarità con Gesù: Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l’immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo. Rimanere in Gesù! E’ un rimanere attaccato a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con Lui: ma, rimanere in Gesù”.
“La prima cosa, per un discepolo – ha proseguito - è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita”. Quindi, ricorda che tante volte nella diocesi di Buenos Aires aveva visto alla fine dei corsi nel seminario catechistico, i catechisti che uscivano: “Ho il titolo di catechista!”. “Quello non serve, non hai niente: hai fatto una piccola stradina, eh! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui e dura tutta la vita! E’ uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: ‘Come voi state alla presenza del Signore?’. Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, cosa fate? Senza parole… ‘Ma, io dico, dico, penso, medito, sento…’. Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore! Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? ‘Ma come si fa?’. Guardi il Tabernacolo e lasciati guardare… E’ semplice! ‘E’ un po’ noioso, mi addormento…’. Addormentati! Addormentati! Lui ti guarderà lo stesso. Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante che il titolo di catechista: è parte del’essere catechista. Questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia col Signore, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene”. Il Papa racconta un aneddoto: “In una delle uscite che ho fatto, qui a Roma, in una Messa, si è avvicinato un signore, relativamente giovane e mi ha detto: ‘Padre, piacere di conoscerla. Ma io non credo in niente! Non ho il dono della fede!’. Capiva che era un dono… ‘Non ho il dono della fede! Cosa mi dice lei?’. ‘Non ti scoraggiare. Lui ti vuole bene. Lasciati guardare da Lui! Niente di più’. E questo dico a voi: lasciatevi guardare dal Signore! Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita. In questo momento ognuno può domandarsi: come vivo io questo ‘stare’ con Gesù? Questa è una domanda che vi lascio: ‘Come vivo io questo stare con Gesù? Questo rimanere in Gesù?’. Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri? Pensate a questo, eh!”. Poi ha aggiunto il secondo elemento: “ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica… Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell’amore. Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo. E questo è il lavoro del catechista: uscire continuamente per amore da sé, per testimoniare Gesù e parlare di Gesù, predicare Gesù. Ma questo è importante perché lo fa il Signore: è proprio il Signore che ci spinge a uscire”. “Il cuore del catechista – ha proseguito - vive sempre questo movimento di ‘sistole – diastole’: unione con Gesù - incontro con l’altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù e esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non può vivere. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono.
Questa parolina: dono. Il catechista è cosciente che ha ricevuto un dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello… E non se ne prende per sé la percentuale, eh? Tutto quello che riceve, lo dà! Questo non è un affare! Non è un affare! E’ puro dono: dono ricevuto e dono trasmesso. E il catechista è lì, in questo incrocio di dono. E’ così nella natura stessa del kerigma: è un dono che genera missione, che spinge sempre oltre se stessi. San Paolo diceva: «L’amore di Cristo ci spinge», ma quel ‘ci spinge’ si può tradurre anche ‘ci possiede’. E’ così: l’amore ti attira e ti invia, ti prende e ti dona agli altri. In questa tensione si muove il cuore del cristiano, in particolare il cuore del catechista. Chiediamoci tutti: è così che batte il mio cuore di catechista: unione con Gesù e incontro con l’altro? Con questo movimento di ‘sistole e diastole’? Si alimenta nel rapporto con Lui, ma per portarlo agli altri e non per ritenerlo? Vi dico una cosa: non capisco come un catechista possa rimanere fermo, senza questo movimento. Non capisco!”.
C’è infine il terzo elemento, che “sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie. Qui mi viene in mente la storia di Giona, una figura davvero interessante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido. Ha tutto chiaro, la verità è questa… E’ rigido! Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. ‘Andare là! Ma io ho tutta la verità qui!’. Non se la sente…Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, se ne va in Spagna, fugge via, si imbarca su una nave che va da quelle parti. Andate a rileggere il Libro di Giona! E’ breve, ma è una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa”.
E’ una storia – ha proseguito - che “ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre. Ma sapete una cosa? Dio non ha paura! Sapevate questo voi? Non ha paura! E’ sempre oltre i nostri schemi! Dio non ha paura delle periferie. Ma se voi andate alle periferie, lo troverete lì. Dio è sempre fedele, è creativo. Ma, per favore, non si capisce un catechista che non sia creativo. E la creatività è come la colonna dell’essere catechista. Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido! Ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Saper cambiare. ‘E perché devo cambiare?’. E’ per adeguarmi alle circostanze nelle quali devo annunziare il Vangelo. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di uscire. Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo finisce per essere una statua da museo: e ne abbiamo tanti, eh! Ne abbiamo tanti! Per favore, niente statue da museo! Se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile? Qualcuno ha questa voglia? (catechisti: “No!”) No? Sicuro? Va bene! Ma questo che dirò adesso l’ho detto tante volte, ma mi viene dal cuore di dirlo. Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo, nel nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente, rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso: quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità… E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala”.
"Quando un cristiano - ha sottolineato - è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente… Tante volte abbiamo visto incidenti stradali… Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata e non una Chiesa ammalata! Una Chiesa, un catechista che abbia il coraggio” di rischiare “per uscire e non un catechista che studi, sappia tutto, ma chiuso sempre e ammalato. E alle volte è ammalato nella testa…”. “Ma attenzione! – esclama il Papa - Gesù non dice: andate, arrangiatevi. No, non dice quello! Gesù dice: Andate, io sono con voi! Questa è la nostra bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parresia, Lui cammina con noi, ci precede, ci – lo dico in spagnolo – ci ‘primerea’. Il Signore sempre ci ‘primerea’! Ormai avete imparato il senso di questa parola. E questo lo dice la Bibbia, eh! Non lo dico io. La Bibbia dice, il Signore dice nella Bibbia: ‘Io sono come il fior del mandarlo’. Perché? Perché è il primo fiore che fiorisce nella primavera. Lui è sempre ‘primero’! Lui è primo! Questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un po’ di timore, in realtà Lui è già là: Gesù ci aspetta nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima senza fede. Ma voi sapete una delle periferie che mi fa male tanto, che sento dolore, lo avevo visto nella diocesi che avevo prima? E’ quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. Questa è una periferia, eh! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti aspetta per aiutare a quel bambino a farsi il Segno della Croce. Lui sempre ci precede”.
Il Papa quindi conclude: “Cari catechisti, sono finiti i tre punti… Sempre ripartire da Cristo! Vi dico grazie per quello che fate, ma soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino, perché camminate con il Popolo di Dio. Rimaniamo con Cristo - rimanere in Cristo - cerchiamo di essere sempre più una cosa sola con Lui; seguiamolo, imitiamolo nel suo movimento d’amore, nel suo andare incontro all’uomo; e usciamo, apriamo le porte, abbiamo l’audacia di tracciare strade nuove per l’annuncio del Vangelo. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni. Grazie! Maria è nostra Madre, Maria sempre ci porta a Gesù!”.
Papa Francesco - Congresso Internazionale sulla Catechesi
Roma, Aula Paolo VI, Venerdì 17 settembre 2013