II Domenica di Avvento
IN ATTESA DI RISPOSTA

L’opera di Dio
Il germoglio che spunta dal tronco di Iesse (un tronco vecchio? tagliato? prossimo a marcire?) è frutto di un’azione specifica di Dio. Azione inattesa, vitalità che sorprende: il profeta lo contempla, stupefatto, da lontano.
Si annuncia qualcosa che solo Dio può compiere: donare il suo Spirito al consacrato, conferirgli tutta la potenza della sua parola per ristabilire la giustizia e la pace.
Un tribunale onesto
Il primo segno di ciò che Dio sta compiendo è una rinnovata capacità di discernimento: il vocabolario giuridico (empi, poveri, giudicare, prendere decisioni giuste) si riferisce propriamente alla realtà dei tribunali, che le fonti antiche riportano sempre come centri di corruzione, nervi scoperti di una società largamente devastata dalla corruzione in misure che oggi facciamo fatica ad immaginare (sebbene anche ai nostri giorni la malversazione non sia assente). A un certo punto del brano però la metafora giuridica lascia il passo a una nuova, sorprendente descrizione. Il Consacrato di cui si parla non è presentato solo come un vendicatore e un castigatore delle malvagità; la sua azione è ben più profonda.
Oltre la vendetta
Si va oltre la vendetta e la punizione: ciò che Dio sta per compiere è una vera e propria pacificazione, adombrata nelle immagini poetiche degli animali incompatibili che pascolano amabilmente insieme. L’elencazione si fa insistita, e al termine ricorrono immagini di fanciulli, lattanti, bimbi appena svezzati, che da un lato aiutano a trasferire dalla sfera animale alla sfera propriamente umana la visione metaforica, dall’altro alludono al “figlio” di cui si parla al capitolo 7 di Isaia (brano che ascolteremo nella quarta domenica di Avvento: Is 7,10-14). Anche qui dunque il senso della metafora dei fanciulli va ricercato nell’annuncio di una nuova generazione, di un rinnovamento radicale, di una trasformazione possibile solamente a Dio. D’altra parte, l’immagine della bestia feroce ammansita indica la fiducia che persino il nemico più indomabile può essere trasformato in alleato.
L’avvicinamento del Regno
Nel brano evangelico la predicazione di Giovanni indica che il rinnovamento profondo annunciato dai profeti ha subìto la decisiva accelerazione. Dalla percezione dell’urgenza derivano gli aspetti peculiari della sua predicazione: innanzitutto l’abito trascurato e povero, segno che non è più possibile perdersi in una sterile attenzione alla propria immagine; in secondo luogo il linguaggio crudo ed espressivo: “razza di vipere”, “ira imminente”, segno che non è più possibile perdersi nei meandri di un formalismo corretto, che maschera la realtà. Infine, l’arrivo ormai imminente del Regno di Dio determina la svalutazione e l’indifferenza verso i meriti e le categorie puramente mondani, sia pure ammantati di pietà e devozione. Dure espressioni sono riservate ai farisei e agli altri membri dell’élite religiosa del popolo.
La denuncia dell’autoillusione
Necessariamente l’annuncio del Regno provoca una denuncia del peccato, dell’indifferenza, delle insufficienze umane. Il Battesimo è il segno di una presa di coscienza e dell’indirizzarsi verso una novità di vita. Sorprende però il fatto che le parole più dure ed esplicite sono riservate per i capi del popolo, più che per i peccatori. La stessa situazione si ritrova nei rapporti di Gesù con i Farisei; è verosimile che nella redazione finale del vangelo la denuncia dell’autoillusione, più che una polemica nei confronti del giudaismo, sia in realtà una presa di posizione contro chi pensava di potersi ammantare del nome di credente in Gesù senza una conversione profonda. Forse, tra i moderni farisei, ci siamo anche noi, lettori credenti e praticanti; e faremmo bene a guardarci da frettolosi processi di identificazione, troppo comodi e lusinghieri.
In chi ci possiamo ritrovare
Con chi ci possiamo identificare ascoltando la parola di Dio oggi? Se davvero prestiamo attenzione, non possiamo non accorgerci della distanza che ci separa dall’annuncio del profeta; ci fa comprendere poi che forse non siamo noi i profeti di oggi: non possiamo troppo frettolosamente definirci come comunità chiamata ad annunciare la parola di Dio e la sua pace. Prima di essere annunciatori delle meraviglie di Dio, ne dobbiamo essere gli uditori.
L’unico consacrato
Noi certamente possiamo dire che “lo Spirito del Signore è su di noi”; ma nello stesso tempo ci rendiamo conto che il primo, vero consacrato di Dio è Gesù: lui solo compie pienamente la profezia, ripieno dello Spirito del Padre, che gli conferisce forza, sapienza, scienza, conoscenza piena di Dio. Da lui deriva anche la nostra consacrazione, che si è compiuta con il Battesimo e con gli altri sacramenti dell’Iniziazione cristiana; se non manteniamo una forte coscienza del dono ricevuto, cadremo facilmente in un eccesso di presunzione.
Lupi da ammansire
In chi dunque ci possiamo identificare? Vorremmo dunque essere profeti, ma non siamo al livello del Battista (tutt’al più, suoi discepoli); vorremmo essere consacrati e annunciatori, ma non siamo al livello di Gesù. Prima di essere tutto ciò, siamo chiamati a conversione: e allora, forse, potremmo ritrovarci più adeguatamente dalla parte dei lupi, dei leoni, dei serpenti velenosi, che con le loro maldicenze inquinano il popolo di Dio. Se ci collochiamo senza scuse tra le bestie feroci, godremo senza riserve della misericordia di Dio. Le scuse sono comprensibili, ma non giustificano: la vita delude, umilia, corazza e indurisce con le sue asprezze; qualche volta ci inferocisce pure. Resta però sempre una nostra responsabilità il cadere nelle tentazioni della vita. Il messaggio di pace però sta precisamente qui: la Parola di Dio, la sua misericordia, ci raggiunge proprio nel nostro essere lupi, leoni, persone inferocite che scoprono la grazia di essere di nuovo addomesticate, restituite alla speranza, restituite alla possibilità di vivere nella mitezza che proviene da lui.
Agnelli da rinvigorire
O forse ci sentiamo un po’ agnelli. Anche questi, con tante ferite e tante delusioni. Tante esperienze negative fanno dubitare di poter perdonare e vivere in armonia con i lupi.
Ma la Parola di Dio ci raggiunge anche nel nostro essere indifesi e feriti: per riaprire la via impegnativa della comunione ritrovata.
La fretta del profeta
La profezia ha fretta. Gli oracoli, così come i vangeli, danno il più delle volte l’impressione di essere stati composti rapidamente, sulla spinta degli eventi; e così pure rapidamente ricopiati, riletti, riattualizzati, sempre sull’onda incalzante della storia di salvezza e delle sue sorprese, in positivo e in negativo.
Occorre comprendere bene di che natura sia l’emergenza e l’urgenza dell’annuncio: perché il più delle volte non si tratterà di trasformare subito la situazione. Anzi, è raro che si possa farlo. Il profeta e i suoi (più spesso pochi, talvolta molti) ascoltatori non hanno la possibilità di intervenire direttamente, però possono convertire subito sé stessi all’azione di Dio.
Aprirsi subito all’azione di Dio
C’è fretta di aprirsi subito a ciò che Dio opera anche in un mondo malvagio (né il mondo antico, né il nostro possono considerarsi davvero “migliori”). Si tratta di una conversione che potrebbe essere istantanea, se solo si avesse fede “quanto un granello di senape”. Se non avviene, spesso è perché si è troppo legati, condizionati, attaccati a realtà che formalmente sono positive, e per molte altre persone effettivamente lo sono, ma per la nostra individualità diventano di fatto degli idoli.
Ciò che agli occhi del mondo potrebbe apparire insignificante e dilazionabile, per lo sguardo rinnovato del profeta potrebbe al contrario riversarsi in una emergenza assoluta e indilazionabile: nella misura in cui apre la possibilità di dare una risposta immediata all’amore di Dio.
Fonte: CEI